Raccogliendo ed esaminando quante più possibile fra le (numerose) notizie in rete su questo film dal titolo accattivante (Il signor nessuno riporta i ricordi indietro fino a Omero, passando per Jules Verne) si scopre innanzitutto che si tratta di una produzione europea, più precisamente belga-franco-tedesca, benché in effetti girato in inglese e con attori per lo più anglofoni. Di fronte al dilagare attuale della (a volte più che gradita, beninteso) FS “made in USA”, questo fa piuttosto piacere. Il regista è Jaco Van Dormael, belga, non molto noto al grande pubblico (Totò Le Heros, L’ottavo giorno). Presentato al Festival di Venezia di quest’anno, il film ha riscosso un lungo applauso, oltre al Premio Osella per la migliore scenografia. E ha portato la FS nel cuore della manifestazione, sebbene con tutto il silenzio possibile sulla sua chiara appartenenza al genere. Ssssh. Non facciamoci sentire.
Il protagonista è Nemo Nobody, un uomo che conduce un'esistenza ordinaria con la moglie Elise e i tre figli, fino al giorno in cui il suo universo collassa e lui si sveglia nel 2092. La cosa però non sembra preoccuparlo molto. Ciò che più gli sta a cuore è scoprire se abbia vissuto la vita giusta, amato la donna che doveva amare e avuto i bambini di cui avrebbe realmente dovuto essere padre.
Tutto comincia dalla seminale (anche per il regista, in quanto riemerge dalla sua filmografia) e impossibile scelta di un bambino tra il padre e la madre sul binario di un treno in partenza (foto): due paesi, due genitori e dunque due vite diverse. Tutto finisce con il vecchio sopravvissuto del 2092, che a 118 anni è il protagonista di un reality che segue in diretta gli ultimi giorni della sua vita. Perché tanto interesse per lui? Perché il signor Nobody è l'ultimo mortale rimasto sulla terra da quando le scoperte scientifiche hanno consentito di raggiungere la quasi-immortalità. Nemo ricorda però ben poco della sua vita passata, che non è una sola, ma è molteplice. Subito il pensiero corre al mitico Sliding Doors, rispetto al quale però ci si imbatte qui in una struttura narrativa che non si limita a un percorso duplice, come le due vite che si srotolano parallele nel noto film inglese a seconda che la protagonista sia riuscita a entrare nell’ormai celeberrimo vagone e prendere la metropolitana, in un palesarsi di una delle teorie da allora più in voga nel cinema FS, ovvero l’abusatissimo Butterfy Effect. In Mister Nobody infatti le possibilità si moltiplicano, perché ai possibili innamoramenti, alle scelte, succedono tutte le possibili relative conseguenze, vite sentimentali, esistenze. Il problema diventa allora controllare la sceneggiatura facendo in modo che lo spettatore si addentri nell'intrico delle identità possibili senza perdersi, o meglio, perdendosi in modo e in misura accettabili e gradevoli. La speranza, da futuro spettatore, è che tutte queste identità sociali del protagonista, siano esse di pura fantasia o realmente avvenute, contribuiscano o addirittura si dimostrino necessarie a dipingere un’unica valida identità umana. Senza troppa confusione. Il rischio è certamente elevato. Sempre che la sceneggiatura consenta di capire se si tratti di invenzione o universi paralleli, ma in fondo questo poco importa. Il solo montaggio, che una volta di più rivela la sua determinante importanza sulla struttura e la qualità finale di un’opera filmica, ha richiesto un anno di lavoro, e il risultato finale ha riscosso commenti molto positivi per via della leggerezza di stile nel raccontare la storia con tratti necessariamente surreali.
Sembra inoltre che vi siano anche citazioni evidenti di (o riferimenti impliciti a) capolavori quali Big Fish, Lo strano caso di Benjamin Button (girato contemporaneamente!) e Se mi lasci ti cancello. Insomma, si direbbe che si tratti di uno di quei film dove sei costretto a metter da parte l’assetto razionale che tende a decifrare le immagini per ordinarle in una trama coerente, e a lasciarti andare a qualcosa, ci si augura, di profondamente inconscio, al limite dell’onirico e anche oltre. In genere è questo il solo modo per arrivare a captare quel che l’autore vuol dire. Magari mettendoci anche qualcosa di proprio.
In una parola? Fantascienza.
Qui il trailer del film in inglese in questo blog.
Il protagonista è Nemo Nobody, un uomo che conduce un'esistenza ordinaria con la moglie Elise e i tre figli, fino al giorno in cui il suo universo collassa e lui si sveglia nel 2092. La cosa però non sembra preoccuparlo molto. Ciò che più gli sta a cuore è scoprire se abbia vissuto la vita giusta, amato la donna che doveva amare e avuto i bambini di cui avrebbe realmente dovuto essere padre.
Tutto comincia dalla seminale (anche per il regista, in quanto riemerge dalla sua filmografia) e impossibile scelta di un bambino tra il padre e la madre sul binario di un treno in partenza (foto): due paesi, due genitori e dunque due vite diverse. Tutto finisce con il vecchio sopravvissuto del 2092, che a 118 anni è il protagonista di un reality che segue in diretta gli ultimi giorni della sua vita. Perché tanto interesse per lui? Perché il signor Nobody è l'ultimo mortale rimasto sulla terra da quando le scoperte scientifiche hanno consentito di raggiungere la quasi-immortalità. Nemo ricorda però ben poco della sua vita passata, che non è una sola, ma è molteplice. Subito il pensiero corre al mitico Sliding Doors, rispetto al quale però ci si imbatte qui in una struttura narrativa che non si limita a un percorso duplice, come le due vite che si srotolano parallele nel noto film inglese a seconda che la protagonista sia riuscita a entrare nell’ormai celeberrimo vagone e prendere la metropolitana, in un palesarsi di una delle teorie da allora più in voga nel cinema FS, ovvero l’abusatissimo Butterfy Effect. In Mister Nobody infatti le possibilità si moltiplicano, perché ai possibili innamoramenti, alle scelte, succedono tutte le possibili relative conseguenze, vite sentimentali, esistenze. Il problema diventa allora controllare la sceneggiatura facendo in modo che lo spettatore si addentri nell'intrico delle identità possibili senza perdersi, o meglio, perdendosi in modo e in misura accettabili e gradevoli. La speranza, da futuro spettatore, è che tutte queste identità sociali del protagonista, siano esse di pura fantasia o realmente avvenute, contribuiscano o addirittura si dimostrino necessarie a dipingere un’unica valida identità umana. Senza troppa confusione. Il rischio è certamente elevato. Sempre che la sceneggiatura consenta di capire se si tratti di invenzione o universi paralleli, ma in fondo questo poco importa. Il solo montaggio, che una volta di più rivela la sua determinante importanza sulla struttura e la qualità finale di un’opera filmica, ha richiesto un anno di lavoro, e il risultato finale ha riscosso commenti molto positivi per via della leggerezza di stile nel raccontare la storia con tratti necessariamente surreali.
Sembra inoltre che vi siano anche citazioni evidenti di (o riferimenti impliciti a) capolavori quali Big Fish, Lo strano caso di Benjamin Button (girato contemporaneamente!) e Se mi lasci ti cancello. Insomma, si direbbe che si tratti di uno di quei film dove sei costretto a metter da parte l’assetto razionale che tende a decifrare le immagini per ordinarle in una trama coerente, e a lasciarti andare a qualcosa, ci si augura, di profondamente inconscio, al limite dell’onirico e anche oltre. In genere è questo il solo modo per arrivare a captare quel che l’autore vuol dire. Magari mettendoci anche qualcosa di proprio.
In una parola? Fantascienza.
Qui il trailer del film in inglese in questo blog.