sabato 2 gennaio 2010

Moon.

Un impianto lunare per l’estrazione di Elio 3, un uomo, Sam Bell, addetto ad esso in totale solitudine, e un robot-computer che controlla tutto. Una moglie lontana con cui l’uomo comunica in modo istantaneo tramite un ponte radio su Giove. Una breve serie di visioni e un senso di straniamento. E un incidente, in seguito a cui Sam si sveglia e si ritrova di fronte al suo sosia.
Questi gli ingredienti essenziali del film di Duncan Jones che ha riscosso grande apprezzamento al Festival della Fantascienza di Trieste.
Una fantascienza sobria, di matrice chiaramente britannica, cadenzata dai ritmi dell’immobile realtà del paesaggio lunare, e dal suo unico (si fa per dire) abitante. Se un appunto è lecito, il film pecca in effetti in alcuni eccessi di lentezza durante il primo tempo, nel quale sono condensate le numerose ed esplicite citazioni di capisaldi del genere, da 2001 Odissea nello Spazio, a Solaris, e perché no, forse anche della prima serie di Spazio: 1999. Proprio queste citazioni sembrano voler chiarire subito allo spettatore che è opportuno abbandonare ogni velleità di ritmi serrati, o di grandiosi effetti speciali di scuola americana, e accettare la proposizione di una breve ed efficace biografia interiore.
Moon è la storia di un uomo qualunque, che si ritrova in una situazione oscura e avvilente ma non si rassegna ad essa, e lotta per uscirne.
Il film è giocato quasi esclusivamente sullo spaesamento del protagonista, sulla sua crescente inquietudine, magistralmente rappresentata attraverso i due punti di vista relativi ai due sosia, e dunque molto diversi fra loro. Eccellente risulta in tal senso la performance di Sam Rockwell (e del suo doppiatore Riccardo Rossi), che impersona in maniera credibile le due “versioni” di Sam Bell, e il rapporto che fra esse si stabilisce, non privo di scontri anche sul piano fisico, che sembrano voler rappresentare il conflitto interiore fra le due dimensioni di un unico essere umano, scisso fra la sensazione di essere vittima di una macchinazione e la necessità di sopravvivere aggrappandosi alla realtà apparente.
Dietro una simile contrapposizione si intravede l’antitesi fra due livelli di maturità diversi all’interno di uno stesso percorso esistenziale, che si tramuta in un’alleanza che in qualche modo rappresenta la risoluzione del conflitto e apre una possibilità di uscita dalla crisi che si è determinata.
In alcuni tratti si fa fatica a rammentare quale dei due Sam Bell fosse il primo apparso sulla scena all’inizio del film, ed è solo grazie ai cerotti sul naso di uno dei due che si riesce a orientarsi.
A tutto ciò si aggiunge la presenza perturbante del robot-computer Gerty (in v.o. Kevin Spacey, in italiano Roberto Pedicini), dal quale ci si aspetta fino all'ultimo istante il tradimento annunciato in stile 2001.
Non ci sono tutto sommato idee assolutamente originali in Moon, ma di certo la sapiente combinazione di più temi cari alla letteratura e alla cinematografia fantascientifica ha prodotto una storia originale e convincente.
Una fantascienza classica in chiave moderna e in perfetto stile British.

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