domenica 12 giugno 2011

Source Code.


Colter Stevens è immobilizzato in una specie di capsula che, azionata dall’esterno, lo proietta in uno specifico momento nel passato. Lo scopo del salto è ricostruire la scena di un attentato ferroviario e individuare il colpevole, che si accinge a far esplodere una bomba nucleare nel centro di Chicago. Stevens è un ex-elicotterista di stanza in Afghanistan, non ha memoria di quel che gli è accaduto nelle ultime ore, e tantomeno di come sia finito all’interno della capsula. Dopo aver fallito la prima missione, continua ad essere catapultato indietro alla spasmodica ricerca del terrorista, ed è costretto ogni volta a rivivere lo shock di una morte violentissima. Dopo altri tentativi falliti, l’uomo chiede l’interruzione della missione, ma i suoi referenti all’esterno della capsula non glielo consentono.
Grazie al “Source Code”, una specie di aura residuale degli eventi, che genera una traccia leggibile del passato, i coordinatori del progetto intendono continuare a spedirlo indietro più e più volte, fino a che non avrà individuato il colpevole. Ma il protagonista comincia a sospettare che quello in cui viene scagliato non è soltanto il simulacro residuo e immodificabile degli eventi già accaduti, ma una vera e propria realtà alternativa in cui è possibile intervenire sul loro corso.
Source Code è la seconda opera di lungometraggio del regista Duncan Jones, che aveva già firmato il bel Moon, vincitore, fra gli altri, del Premio Hugo 2010. Fantascienza e Dintorni aveva pubblicato un’intervista al regista inglese presso l’High Bar del simpatico Warren Etheredge, nella quale Jones parla di entrambi i suoi film e dei suoi progetti futuri. 
Come il precedente Moon, anche Source Code è un film sobrio, essenziale e ben riuscito, che vede protagonista Jake Gyllenhaal, dieci anni dopo la mitica performance nei panni di Donnie Darko. Come già in Moon, ancora una volta Duncan Jones ci ripropone un tema classico della fantascienza: stavolta si tratta del viaggio nel tempo, sebbene rivisitato nella forma di una semplice tecnica per osservare per pochi minuti (otto per l’esattezza) il flusso degli eventi già accaduti (un’idea che con le dovute differenze ricorda l’americano Deja Vu). In tutti e due i film è inoltre evidente una predilezione per i meccanismi a carattere ripetitivo: la clonazione in Moon e il viaggio nel tempo in Source Code costringono i rispettivi protagonisti a rivivere più volte la stessa situazione.
I puristi avranno qualcosa da ridire su alcune incongruenze di cui non si potrà non notare la presenza verso il finale, a proposito del quale rimandiamo i lettori che abbiano già visto il film a questa spiegazione che il regista stesso ha rilasciato in un’altra intervista, pubblicata da Io9. Nella stessa intervista Duncan Jones, dando conferma del suo amore per le citazioni, ci rivela inoltre che la voce del padre di Colter Stevens nella telefonata finale è quella di Scott Bakula, indimenticabile protagonista della serie TV anni’90 dal titolo Quantum Leap. Non a caso la telefonata-cameo si apre con il mitico “Oh boy!” con cui iniziava ogni avventura del protagonista in ciascun nuovo salto da un’epoca del passato a un’altra. E non è la sola citazione: il protagonista che si spaventa della propria immagine riflessa da uno specchio rimanda nuovamente a Quantum Leap, e i consigli che Colter Stevens, all'ennesimo balzo, elargisce alla sua ragazza (Michelle Monaghan) a bordo del vagone per evitare piccoli inconvenienti prima che si verifichino non potranno non rammentare il celebre film Ricomincio da capo con Bill Murray.
Consigliatissimo a chi ama la vera fantascienza, classica e senza fronzoli.


Nessun commento: